I finanziamenti fino a 25.000 euro con garanzia statale: esiti e aspettative del decreto liquidità

I finanziamenti fino a 25.000 euro con garanzia statale: esiti e aspettative del decreto liquidità

Il DM n. 23/2020 ha introdotto una serie di misure urgenti in materia di accesso al credito per piccole/medie imprese, liberi professionisti e lavoratori autonomi, colpiti dall’emergenza Covid-19, prevedendo anche la sospensione di alcuni adempimenti fiscali e il sostegno alla continuità aziendale.

Facciamo il punto della situazione a poco più di un mese dalla pubblicazione del provvedimento governativo che si propone di supportare le imprese in difficoltà, verificando l’effettiva operatività e l’attuazione pratica delle disposizioni.

Gli inconvenienti emersi e quelli sommersi

Secondo le stime della prima ora, pare che le misure previste non abbiano riscosso l’interesse auspicato: sulla base dei dati forniti dalla CGIA (Confederazione Generale Italiana degli Artigiani), solo lo 0,9% delle attività interessate ha presentato domanda di ricorso alla misura governativa.
È un dato sicuramente deludente dal punto di vista delle aspettative, ma l’esito era in qualche modo prevedibile, considerando i requisiti richiesti per ottenere il prestito.
A questo scopo, Consulenza Legale Italia fornisce un supporto consultivo ed esplicativo, volto anche ad accertare la sussistenza delle condizioni necessarie per accedere al prestito e alle garanzie.

In genere, i finanziamenti per liquidità sono utilizzati dalla PMI per fronteggiare un fabbisogno contingente: ma, tradizionalmente, le banche guardano sempre con circospezione a quel genere di richieste, temendo che possano dissimulare perdite o condizioni di particolare difficoltà economica. E la situazione attuale, sebbene supportata da una disposizione governativa, non fa eccezione.

Per accedere al finanziamento fino a 25 mila euro, è necessario produrre un supporto a certificazione degli introiti, in quanto il prestito può essere concesso per un importo non superiore al 25% dei ricavi che risultano dall’ultima dichiarazione fiscale o dall’ultimo bilancio depositato. Questo requisito, di fatto, esclude le imprese che hanno iniziato l’attività nel 2020 e che risentono delle stesse difficoltà delle altre, ma non possono accedere ai fondi.

I problemi che colpiscono il sistema e che sono emersi già in prima battuta, iniziano con la sostanziale insufficienza dei fondi stanziati, che hanno una disponibilità piuttosto modesta.
In secondo luogo, la circostanza che esclude dal beneficio le imprese che hanno una situazione di finanziamenti in default, aumenta le difficoltà di soggetti particolarmente deboli già prima del lockdown.

L’esperienza italiana del prestito garantito

Il modello francese da cui il decreto trae dichiaratamente ispirazione, si basa su un diverso presupposto: solo le imprese che dimostrano di aver subìto perdite nei limiti di una data percentuale possono accedere al finanziamento, ma quest’ultimo è automatico.

In base alla disposizioni del nostro decreto, invece, non è richiesta un’autocertificazione che dichiari una perdita di fatturato, per cui qualunque azienda può richiedere il prestito, anche se in teoria non ne ha bisogno. La banca è comunque obbligata ad avviare un’indagine sull’affidabilità economica e finanziaria dell’impresa, con tutti i ritardi e gli inciampi che comporta l’apertura di un’istruttoria.

Ma non solo: nel caso in cui la banca decida di concedere il prestito, all’impresa da finanziare è posto divieto di aumentare il suo indebitamento senza il consenso dei precedenti finanziatori. Pertanto, qualora esistano debiti pregressi, la banca operante ai sensi del decreto liquidità, oltre all’istruttoria interna, si troverà a dover richiedere il via libera anche agli altri istituti coinvolti con l’azienda. Ed è di tutta evidenza quanto una simile procedura risulti inevitabilmente rallentata e di conseguenza, rallenti l’intero meccanismo.

Correzioni e soluzioni auspicabili

La ratio del decreto è aiutare le imprese a sopperire alla mancanza di liquidità nel breve periodo e, sebbene la disposizione governativa non si proponga di essere risolutiva della totalità dei problemi di un’azienda, vuole essere un aiuto per sopperire alle difficoltà.

A questo scopo, dunque, le piccole imprese che sono state obbligate, per legge, a chiudere temporaneamente andrebbero sorrette con contributi a fondo perduto, al fine di evitare una sovrapposizione di indebitamento che risulterebbe impossibile da fronteggiare nel lungo periodo.

In secondo luogo, dovrebbe partire fin da subito la sempre auspicata riduzione della burocrazia, semplificando le dinamiche che il meccanismo previsto per l’erogazione del finanziamento ha innescato e che non si discostano dalla consueta complessità, ritardando l’attuazione sostanziale delle misure adottate.

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